CAPOLAVORI

Palazzo Farnese a Piacenza presenta dal 5 dicembre 2025 al 3 maggio 2026 la mostra “Sibille. Voci oltre il tempo, oltre la pietra”, a cura di Antonio Iommelli, Direttore dei Musei civici di Palazzo Farnese. Un’affascinante e complessa esplorazione della figura profetica femminile delle Sibille, concepita per valorizzare il loro ruolo nella storia dell’arte e per sottolineare il loro legame indissolubile con il patrimonio artistico della città.

In prestito dalla Galleria Borghese di Roma arriva l’opera La Sibilla cumana di Domenico Zampieri, detto il Domenichino, capolavoro del Seicento che incarna l’interpretazione classica e vibrante della profetessa, che sarà il cuore dell’allestimento e fulcro di un dialogo temporale “serrato” con la contemporaneità, grazie alla presenza di otto sculture sibilline dell’artista piacentino Christian Zucconi.

Il progetto nasce dalla volontà di evidenziare l’importanza delle Sibille nel contesto piacentino, in particolare in riferimento al ciclo pittorico di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino. Tra il 1626 e il 1627, il Guercino lasciò infatti una testimonianza fondamentale nella Cattedrale di Piacenza, dove affrescò il ciclo dei Profeti inserendo coppie di Sibille nelle lunette del tamburo. Quest’atto, che completava l’opera iniziata da Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, testimoniava la rilevanza paritaria di queste figure profetiche nella cultura dell’epoca, rendendo Piacenza un luogo naturale per ospitare un’esposizione dedicata a questo tema. Le Sibille, infatti, compaiono anche in altri due luoghi simbolo della città: nella cupola cinquecentesca di Santa Maria di Campagna, affrescata da Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone, e nella basilica di San Francesco, dove Giova Battista Trotti, detto il Malosso, le inserì a coronamento della sua Incoronazione e Genealogia della Vergine Maria.

La giustapposizione tra la pittura seicentesca e le opere scultoree moderne mira a creare un nesso temporale che rafforza il senso di continuità, la fisicità e l’attualità del mito sibillino, sia nella produzione artistica locale che in quella universale.

Al centro dell’esposizione la Sibilla cumana delDomenichino del 1617, data attestata da una ricevuta di pagamento da parte di Scipione Borghese che, si ipotizza, possa aver in qualche modo suggerito l’iconografia. La Sibilla è ritratta con un turbante e alle sue spalle una viola da gamba. Il suo bel volto rivela chiari contatti con la scuola bolognese, mostrando lo sguardo tipico delle protagoniste di Guido Reni. Alle sue spalle, il paesaggio rivela precisi riferimenti simbolici, come l’alloro, albero sacro ad Apollo protettore delle arti, e la vite, che rimanda a Bacco, dio del vino e dell’ispirazione poetica, ma anche a Cristo la cui venuta fu preannunciata da una sibilla secondo l’interpretazione di Virgilio.

L’accostamento con le sculture sibilline di Christian Zucconi, classe 1978, realizzate in travertino rosso persiano e ferro, non sono semplici accompagnamenti, ma rappresentano l’attualizzazione del mito attraverso un linguaggio scultoreo che ne esplora la dimensione psicologica e simbolica. Zucconi infatti ha curato interamente l’installazione, occupandosi della progettazione, dell’allestimento, delle luci e dell’opera sonora Versi sibillini con parole, composizione e musica dello stesso Christian Zucconi, voce e rumori di Greta di Lorenzo e percussioni di Gian Luca Capelli. Una traccia audio che guida il visitatore in una circolare ripetizione di eventi e suoni, un continuo susseguirsi di significati che estende il tema della profezia e del tempo al di là del visivo, completando il dialogo tra scultura, mito e modernità.

Tutte queste opere, unite, offrono un percorso che partendo da Piacenza e passando attraverso il Pordenone, il Malosso, il Guercino e il Domenichino, approda fino alla scultura e al suono contemporaneo di Zucconi, dimostrando la vitalità e la risonanza del mito sibillino come archetipo profetico universale che risuona attraverso i secoli.

La mostra è accompagnata da un testo critico che esplora il tema delle sibille dal mondo antico fino alla prima metà del Seicento. Dal titolo Sibille: mito, iconografia e visione profetica, di Antonio Iommelli, è edito da Nomos Edizioni e sarà presentato a febbraio 2026.

IRONICA.MENTE

Nell’ambito di XMAS Maroncelli District 2025, la Galleria Paola Colombari presenta IronicaMente, la mostra personale di Marilù S. Manzini, artista poliedrica che segue molteplici filoni di ricerca artistica, muovendosi tra reale e immaginario. A cura di Alessandra Bertolè Viale, dal 3 dicembre al 27 gennaio 2026 in mostra negli spazi di Via Maroncelli un nucleo di lavori dalla prosa narrativa sottile e dallo stile ironico. Per l’occasione sarà presentato l’ultimo libro dell’artista dal titolo “La memoria del cuore”, edito da Piemme Mondadori.

Provocatoria e dirompente, la ricerca artistica di Marilù S. Manzini è incentrata sull’atto estetico che si trasforma in una riflessione, un insegnamento, a volte un monito: attraverso pittura, fotografia, scultura, ma anche scrittura e regia cinematografica, l’artista esprime, con i suoi lavori, un linguaggio sovversivo, che richiama quello dei dadaisti, per attribuire un senso nuovo a quello che già esiste.

“Le opere presentate sono una sorta di favole al contrario: spiazzanti, ironiche, provocatorie.” – afferma la curatrice – “Le favole servono per dire ai bambini e alle bambine che i mostri possono essere sconfitti, che le paure o non esistono o possono essere superate. La Manzini, invece, ci racconta che le paure sono dentro di noi, scava nel nostro animo per tirarle fuori e dirci che non dobbiamo vergognarcene”.

Come affermava Victor Hugo “è dall’ironia che comincia la libertà”, così Marilù S. Manzini si muove tra sogno e realtà con una mobilità creativa e multidisciplinare dai toni trasgressivi. In esposizione le sue fotografie nate dalle sculture ready-made da lei stessa realizzate come Il linguaggio silenzioso delle anime gemelle (2025) che racconta la scelta consapevole di condividere la vita con l’altro, il tavolo scultura Marylin Monroe – Quando la moglie è in vacanza (2013) in cui la favola sexy entra nella vita di tutti i giorni e ancora la serie di dipinti di grandi dimensioni Spille da balia (2019) che, oltre che essere una nuova tecnica di disegno, pungono la tela e danno ai soggetti ritratti nuovi significati. Manzini usa allo stesso modo i topoidella mitologia greca e la cultura pop, tratta i temi universali della vita umana ma anche la stretta attualità. Altra opera emblematica dell’artista è Nudo in scatola (2022) – una serie di scatti che raffigurano una donna in svariate pose racchiusa dentro una scatola che, come scrive la curatrice, simboleggia “L’ossessiva ricerca della perfezione estetica del corpo risotto ad oggetto, e messo in scatola, come faremmo con un vestito o delle scarpe. Se perdiamo la nostra umanità non siamo altro che materiale da mettere via”.  E poi The Kiss(2019) che rappresenta uno dei gesti simbolo dell’amore – il bacio – ma anch’esso racchiuso in una gabbia a rappresentare un amore che può diventare prigione.

Marilù Manzini con IronicaMente ci mostra la realtà, ma vuole in un certo senso anche dimostrarci che se “a volte è cruda come una favola al contrario e che se l’ombra si nasconde davvero sotto il letto, basta un po’ di luce per ricacciarla indietro”.

KOUNELLIS | WARHOL

Dal 26 novembre 2025 al 29 maggio 2026, la Galleria Fumagalli ospita l’esposizione Kounellis | Warhol. La messa in scena della tragedia umana: la classicità di Jannis Kounellis e il pop di Andy Warhol.

Ben lontani dal voler ridurre i due maestri dell’arte contemporanea a una medesima matrice e respingendo ogni sovrapposizione che possa appiattirne la singolare identità, l’esposizione si presenta come un’occasione di riflessione critica su Jannis Kounellis ed Andy Warhol, con le loro differenze ideologiche ed estetiche, ma anche con le loro tangenze culturali e comune tensione nei confronti della potenza e del mistero della spiritualità.

Il progetto espositivo in Galleria Fumagalli include anche un importante approfondimento presso il Museo San Fedele di Milano che ospiterà dal 12 dicembre un inedito dialogo tra l’opera permanente di Jannis Kounellis allestita nella cripta (Senza titolo, Svelamento, 2012) e un’opera di Andy Warhol in prestito per l’occasione.

La mostra sarà arricchita da un’estesa pubblicazione che raccoglie contributi critici e memorie personali di importanti autori quali, fra gli altri, Andrea Dall’Asta SJ, Demetrio Paparoni, Gianni Mercurio, Gerard Malanga, Lóránd Hegyi, Luca Massimo Barbero, Franco Fanelli, Annamaria Maggi, Maria Vittoria Baravelli, Sandro Barbagallo, Massimo Recalcati.

Il volume si correda di un significativo apparato di immagini fotografiche autoriali e sarà presentato dopo l’apertura della mostra.

Jannis Kounellis (Il Pireo, Grecia, 1936 – Roma, 2017) e Andy Warhol (Pittsburgh, Pennsylvania, 1928 – New York, 1987) hanno segnato in modo radicale il loro tempo, lasciando un’impronta profonda nella storia dell’arte. A un primo sguardo, sembrano incarnare due archetipi inconciliabili: l’alfa e l’omega di due visioni artistiche, due concezioni della realtà che si sono confrontate e, talvolta, scontrate. Le loro traiettorie si sono sviluppate in parallelo, ma in universi quasi distinti: Jannis Kounellis immerso nell’ombra e nel peso della materia, Andy Warhol nell’abbaglio fluorescente della superficie dell’immagine.

Oggi, a distanza da quel contesto storico e in un periodo in cui si sono dissolte le ideologie, appare fecondo creare un dialogo tra questi due maestri, non solo per metterne a confronto le differenze ma soprattutto per analizzare le radici comuni di quella grande energia che ha animato un periodo irripetibile dell’arte contemporanea, nonché sondare quel terreno comune da cui scaturì quella straordinaria stagione.

Entrambi sono espressione dell’Occidente e si sono sentiti figli di due città che, a buon diritto, possiamo chiamare “caput mundi”: Roma, per Kounellis, nell’antichità e della cristianità; New York, per Warhol, capitale dell’immaginario globale nel dopoguerra e motore del capitalismo. Ma entrambi mantengono un legame profondo con le radici orientali e le tradizioni spirituali delle loro terre d’origine: la Grecia ortodossa e mediterranea per Kounellis, e quella Slovacchia cattolica e dalle influenze bizantine che permea l’infanzia di Warhol.

Chiunque si accosti oggi al loro lavoro si imbatte in una parola tanto ricorrente quanto insidiosa: icona. Una parola che rischia di diventare una trappola semantica, svuotata di significato dall’uso eccessivo. Tutto è “iconico”: ogni volto, ogni oggetto, ogni immagine. Ma per Kounellis e Warhol, l’icona non è un semplice oggetto di culto mediatico, essa mantiene, pur in contesti esplicitamente profani, una tensione verso il senso assoluto.

In Kounellis, questa tensione si manifesta attraverso un’estetica della materia che incorpora gli oggetti del lavoro, i materiali poveri, gli elementi primari: ferro, carbone, lana, sacchi di iuta, fiamme. La sua è una liturgia laica, anzi materialista, un rito tragico in cui il dolore del mondo trova espressione nella materia stessa. Alla Galleria Fumagalli sono esposte alcune delle sue opere, strutture in ferro su cui poggiano ora sacchi pieni di carbone, ora cappotti compressi, ora capelli trafitti da lame: oggetti veri che portano la traccia dell’esistenza umana, della sua quotidianità e delle sue fatiche.

Nelle opere di Warhol il dramma umano si nasconde dietro i simboli del consumo e della celebrità come nelle lattine di zuppa Campbell o nei volti di Marilyn e Jackie Kennedy, donne che celano con la bellezza il loro dolore: sono tutte immagini dietro alla cui superficie patinata si cela un’intima spiritualità, un senso del tragico che trasforma quelle figure in icone moderne. Alla Galleria Fumagalli sono esposte opere delle serie “Knives” e “Shadows”, che evocano la caducità e la fragilità della vita. In mostra anche alcune polaroid, uno dei mezzi espressivi preferiti da Warhol proprio per l’estemporaneità di realizzazione e la capacità di generare un diario visivo di icone della quotidianità.

Kounellis è stato un intellettuale, ateo e marxista, legato a una visione politica del mondo e della storia; Warhol era ambiguo, dissimulato, restio a parlare di sé stesso, profondamente religioso, eppure icona pop. Entrambi, a modo loro, si sono rivolti alla massa, al popolo, agli emarginati. La bellezza che emerge dai loro lavori è tragica, ma mai disperata: è la bellezza di ciò che resta, di ciò che sopravvive al disincanto della Storia e del consumo. Ed è forse in questo terreno comune — la tragicità del quotidiano, l’universalità del materiale e la rigorosa etica dell’artista — che si può trovare la chiave per un dialogo possibile tra i due artisti.

ARMONIE

Domani l’ultimo appuntamento con le Conversazioni d’Arte, a chiudere il ciclo “Magnifiche armonie” musica a Casa Bagatti Valsecchi. La musica è un elemento ricorrente nella quotidianità dei fratelli Bagatti Valsecchi. Fausto fece decorare la cappa del camino del proprio salottino con un’affascinante raffigurazione di puttini musicanti mentre Giuseppe inserì nel suo, diversi strumenti musicali, tra cui mandolini, liuti e un curiosissimo pianoforte. La casa rifletteva così la loro passione per l’arte della musica.  Partendo dalla narrazione bagattesca, nella seconda parte dell’incontro si andranno a esplorare alcuni grandi capolavori del passato in cui si celebra il rapporto fra musica e miti classici.

MIRABILIA

Il 22 ottobre a  Casa Bagatti Valsecchi “Mirabilia” viaggio tra i tesori delle Wunderkammer. Conosciute con il termine tedesco Wunderkammer, le Camere delle meraviglie erano splendide collezioni di esemplari di storia naturale, strumenti, invenzioni meccaniche, mappe geografiche, rarità archeologiche, monete, cammei e molto altro, utilizzate per fini didattici nonché come mezzo di indagine scientifica universale. Dalla scoperta dei più curiosi esemplari conservati presso la collezione Bagatti Valsecchi, si passerà all’approfondimento di alcune delle più singolari Wunderkammer destinate a raccogliere esemplari rari o bizzarri di storia naturale e artefatti.

ILLUMINATE RIFLESSIONI

Museo Bagatti Valsecchi accoglie ancora una volta l’arte contemporanea e presenta la mostra Manuela Bedeschi. Illuminate riflessioni, a cura di Matteo Galbiati. L’artista vicentina utilizza il neon come principale linguaggio espressivo per questa esposizione, trasformando segni e parole in luce, materia ed esperienza sensibile. Le sue installazioni leggere e vibranti, spesso concepite come interventi site-specific, danno forma a riflessioni intime e collettive, investendo le opere di una rinnovata forza poetica ed emozionale. Nelle sale della Casa Museo Bagatti Valsecchi, i suoi interventi si intrecciano con i motti latini, l’arredo e la collezione presenti nelle varie stanze, generando un dialogo silenzioso tra memoria e contemporaneità. In questo ambiente domestico, dove ogni oggetto racconta una storia, i messaggi di luce diventano testimonianza di affetto, ricordo e relazione, suggerendo un senso del quotidiano che incontra il museo quale luogo dell’intimità e della memoria condivisa.

Il curatore Matteo Galbiati scrive: “Al Museo Bagatti Valsecchi, dove ogni innesto costituito da ciascuna opera è stato pensato, se non realizzato appositamente, e scelto con estrema attenzione e cura per questi ambienti tanto mirabili, il suo linguaggio vive di un’amplificata e maggiore relazione con il luogo, i suoi contenuti, le sue iscrizioni e le sue tradizioni. Il neon di Bedeschi accende frammenti di una storia che ritorna ad appartenerci nell’oggi: basta soffermarsi e leggere per richiamare quelle connessioni che si vivificano in un’utile pausa riflessiva. Che è, in definitiva, il vero e inevitabile momento di conoscenza da osservare sino alla fine”.

La linea direttrice perseguita da Bedeschi nell’immaginare e costruire la mostra si basa sul valore etico e morale che la parola assume all’interno del Museo Bagatti Valsecchi. Ciò si traduce nella presenza di opere inedite e site-specific, ispirate proprio ai motti latini presenti nella casa, tra le quali si cita l’installazione RESPICE FINEM, cui viene conferito uno spazio distinto dal canonico percorso di visita. Situata sulla terrazza che affaccia sul cortile interno, essa sconfina all’esterno del Palazzo, appropriandosi – in accordo con il gusto dell’artista – di uno spazio altro. Un’opera manifesto, che rimarrà esposta per tutto il 2026, pensata per attrarre lo sguardo e invitare il visitatore ad una riflessione personale.

Il percorso espositivo si snoda così, sala dopo sala, in un dialogo armonico con i differenti ambienti domestici in cui un tempo viveva la famiglia Bagatti Valsecchi.

Ogni opera di Manuela Bedeschi – parola, forma geometrica o segno – determina un significato che vale in prima istanza come immagine. Essa, caricandosi di luce, non può fare a meno di sollecitare nel visitatore delle riflessioni peculiari e intime, come spiega l’artista: “Non ci fermiamo più a guardare quello che ci circonda, le persone e soprattutto la natura, pensare alle nostre e altrui caratteristiche, sia ai problemi che a volte solo con qualche attimo di riflessione si risolvono, sia alle cose buone che aiutano il mondo. E poi soprattutto ascoltare. Quest’ultima è l’attività più in disuso verso noi stessi, gli altri e il mondo naturale che manda segnali fragorosamente rumorosi verso i quali siamo diventati totalmente sordi. Esporli a caso in luoghi non dediti a presentare arte penso che attiri di più l’attenzione perché vengono inizialmente scambiati per scritte pubblicitarie (un nuovo supermarket?), e poi quando si capisce che no, non è così, allora ci si può fermare un attimo a pensare: perché? Cosa devo pensare, guardare, ascoltare? E qualcosa affiora dalla frettolosa distrazione, e per me è già un piccolo contributo a rallentare l’indifferenza ormai diventata una pericolosa abitudine”.

NATURE

ANIMAN, piattaforma dedicata alla fotografia d’arte e a iniziative filantropiche con uno sguardo sensibile rivolto al mondo animale e naturale, presenta dal 10 ottobre al 6 dicembre 2025 a Fabbrica Eos a Milano, la mostra Dancing with Nature, progetto ideato e realizzato dal fotografo Ruggero Rosfer e a cura di Maria Vittoria Baravelli. Ventuno immagini mozzafiato di Ruggero Rosfer, rigorosamente in bianco e nero, in cui un branco di sei elefanti e due ballerini di danza classica dialogano in uno scenario incontaminato in Sudafrica, a nord di Johannesburg.

Dancing with Nature è il primo progetto prodotto da ANIMAN, fondata dalla mecenate Narghes Sorgato, che già nel nome contiene i suoi caratteri distintivi: Anima, Animal, Man, Woman. La passione per l’arte e quella per l’Africa, le hanno dato l’impulso a creare questa piattaforma che ha scelto, per il suo primo progetto, di utilizzare il linguaggio della fotografia per ispirare consapevolezza e azione, unendo creatività e impegno per preservare la bellezza e il futuro dell’habitat naturale.

Ruggero Rosfer, fotografo di moda, da sempre coltivava il sogno di realizzare un lavoro che unisse simbolicamente uomo e animale attraverso la danza, sua altra grande passione. “Considero la danza al contempo un’espressione universale di bellezza, grazia e forza, qualità che appartengono tanto all’essere umano quanto all’animale.” – racconta – “Per questo i protagonisti di Dancing with Nature sono stati un branco di elefanti – in particolare il loro capobranco, Chova, un magnifico maschio – e una coppia di ballerini classici di etnie diverse. Il confronto tra la forza fisica dell’animale e quella dell’uomo, le relazioni di amicizia e d’amore, sono i temi principali esplorati”.

RIPENSARE

Museo Bagatti Valsecchi avvia un importante progetto di studi e ricerca sulla vicenda Bagatti Valsecchi. A partire dal 25 settembre 2025 un ciclo di tre incontri aperti a tutti nelle biblioteche di Lambrate, Niguarda e Fra Cristoforo e la pubblicazione del nuovo volume di studi dal titolo Ripensare il Rinascimento. Il metodo Bagatti Valsecchi nella Milano di fine ‘800, che sarà presentato il 22 novembre nel Salone d’Onore del Museo.

Su uno dei portali d’accesso alla casa di via Gesù, sede del Museo Bagatti Valsecchi, ideata e realizzata dai fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi a metà Ottocento, si legge Amicis semper libens pateboper sottolineare la volontà di rendere la dimora un luogo aperto sempre a tutti. Già nel 2024, in occasione del trentesimo anniversario dall’apertura del Museo, è nato il progetto culturale Museo oltre i confini, con attività didattiche e conferenze nelle scuole e nelle biblioteche di quartiere per portare l’identità del museo fuori dai propri spazi, facendo conoscere le attività a un pubblico sempre più vasto.

In questo ambizioso progetto di apertura, divulgazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico del Museo Bagatti Valsecchi, si inserisce quest’ anno anche Ripensare il Rinascimento. Il metodo Bagatti Valsecchi nella Milano di fine ‘800, titolo del volume – reso possibile grazie al prezioso contributo di Regione Lombardia – attraverso saggi firmati da studiosi e rappresentanti di importanti istituzioni accademiche e museali, offre nuova linfa agli studi sulla vicenda Bagatti Valsecchi, arricchendone e ampliandone la prospettiva di ricerca. L’obiettivo è quello di valorizzare un ricco patrimonio ancora poco indagato, offrendo nuove prospettive interpretative sulla storia del Museo e contribuendo all’avanzamento degli studi storico-artistici su scala cittadina e regionale.

ARTISTI

Domani appuntamento con Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese di Roma con “Artisti amici e nemici” un racconto possibile nelle sale del museo di Casa Bagatti Valsecchi. L’intervento della Prof.ssa Francesca Cappelletti esplorerà il complesso e affascinante rapporto tra mecenati e artisti, con un’attenzione particolare alle dinamiche artistiche e politiche che hanno unito il cardinale Scipione Borghese a due figure cardine dell’arte barocca: Michelangelo Merisi da Caravaggio e Gian Lorenzo Bernini. Attraverso un’analisi delle opere e delle strategie di collezionismo del cardinale, emergerà come il mecenatismo di Scipione abbia dato impulso alla creazione di capolavori destinati a trasformare il panorama artistico dell’epoca.

LIBRI

Venerdì 19 settembre alle ore 18.30 il Museo Bagatti Valsecchi ospita la presentazione del volume di Andrea Giuseppe Cerra Siete contente di essere donna? Esperienze di filantropia e istituzioni femminili nel Meridione d’Italia (XIX-XX sec.), edito da Rubbettino e con prefazione di Stefania Mazzone.

Il volume indaga il ruolo delle donne nelle pratiche filantropiche, educative e cooperative nel Sud Italia tra Ottocento e Novecento, restituendo un’immagine viva e consapevole della loro azione emancipatrice.

Così, dalla Legione delle Pie Sorelle, quale peculiare istituzione educativa, ad alcune esperienze significative dell’Ottocento borbonico in Sicilia, in funzione dell’istruzione e del lavoro femminili, in un continuo confronto tra pratiche e istituzioni, fino alle cooperative di donne di fine ’800 e inizi ’900 in Puglia, il filo conduttore della ricerca si snoda attraverso un contrappunto tra locale e globale, comprese le esperienze formative estere delle donne della filantropia patriottica, liberale e socialista del Meridione d’Italia.

L’autore Andrea Giuseppe Cerra, collaboratore de La Repubblica Milano e ispettore onorario per l’arte contemporanea della Regione Siciliana, commenta così il libro: “Intendo offrire un contributo alla rilettura storiografica del ruolo delle donne nel Mezzogiorno, attraverso la valorizzazione delle tracce che le stesse hanno lasciato. Alcune tradizioni storiografiche hanno ritenuto tema non centrale il rapporto fra donne, istruzione e lavoro nel Mezzogiorno e in particolare in Sicilia; al contrario si tratta di questione meritevole di interesse, che ha visto la presenza di nuovi studi solo nel recente passato (come quelli di Silvana Raffaele e Cettina Laudani), e ciò induce anzitutto ad approfondire la questione del “silenzio delle fonti”, ossia i limiti di una storiografia che, troppo di frequente, ha restituito una lettura “tutta al maschile” delle dinamiche politiche e socioeconomiche e, laddove si è interessata al genere femminile, l’ha fatto avendo come unici riferimenti ermeneutici la famiglia, la maternità e la religione”.

Cerra ne parlerà in occasione della presentazione con Maria Fratelli, Dirigente Unità Progetti Speciali e Direttrice della Fabbrica del Vapore e del CASVA – Comune di Milano, Paola Coppola, responsabile delle pagine “Cultura e Spettacoli” de La Repubblica, edizione di Milano e Sara Zanisi, Direttrice Generale dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.