CAOS CHE PIACE

Oggi siamo qui per celebrare un altro piatto dalle origini molto umili che via via col tempo si è fatto strada fino a diffondersi in tutto il resto del mondo. Il minestrone è un brodo contenente legumi e verdure che può essere ulteriormente arricchito con riso e pasta, radicato profondamente nella cultura culinaria italiana non ha una vera e propria ricetta.  Da regione a regione e da stagione a stagione, contiene diversi tipi di ingredienti la maggior parte dei quali sono pomodori, sedano, patate, fagioli che vengono aggiunti ad un soffritto fatto da  carote e cipolle, e spesso, viene in fine aggiunto del parmigiano grattugiato. Inizialmente nacque con l’intento di consumare le verdure che avanzavano al momento anche se non freschissime, ora invece è un piatto particolarmente ricercato che ha subito la rivisitazione di numerosi chef rinomati. Il profumo è qualcosa di sublime e alla vista è un tripudio di colori dato dalla varietà degli ingredienti che lo compongono, potrebbero quasi sembrare aggiunti a caso. Il termine minestrone viene utilizzato oggi anche per indicare un insieme di cose differenti mischiate alla rinfusa e in modo disordinato. Basta un solo assaggio per capire che quello che sembrava dato al caso in realtà è stato perfettamente studiato fino a creare un sapore unico ed inconfondibile, quindi non è casualità ma arte. Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

CONCENTRATO DI SAPORI

Oggi parliamo di un altro piatto Italiano che è riuscito nel corso del tempo a raggiungere la fama mondiale. Sto parlando della polpetta. Numerose sono le sue varianti, a partire dalla composizione stessa che può essere a base di carne, verdure o pesce. Vengono poi aggiunti spezie e aromi impastati in tuorli d’uovo, farina e pangrattato. Una volta preparato l’impasto, se ne prendono via via piccole porzioni che lavorate a mano, raggiungono la caratteristica forma sferica. Anche il modo in cui vengono cucinate può essere diverso, le possiamo infatti trovare in umido, in forno o fritte. Inutile dire che stiamo parlando di sapori forti e decisi. Possono essere servite da sole come secondo piatto o aggiunte in accompagnamento ad altre portate. La loro origine risale all’antica epoca romana e nel corso del tempo non si contano più le numerose varianti che sono nate. Una delle più famose le vede ricoperte di sugo immerse in un succulento piatto di spaghetti. Sfido chiunque a non ricordare la celebre scena del cartone animato di Lilly e il vagabondo nella quale i protagonisti accompagnati da due cuochi italiani se le stanno mangiando romanticamente con la fisarmonica e il mandolino in sottofondo. Una scena iconica che racchiude il perfetto stereotipo degli italiani nel mondo, del resto uno dei nostri principali terreni di seduzione è proprio la tavola. Non racconto come è andata a finire ma vi dico solo che le polpette sono sparite in un baleno! Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

DOLCE O SALATO?

Oggi parliamo di un piatto tipico diffuso nel Veneto e nella provincia di Brescia, “polenta e osei”, che nella sua versione salata prevede che gli uccellini nella fattispecie tordi, fringuelli, passeri, allodole o quaglie vengano arrostiti allo spiedo su un camino o sulla padella. Viene poi aggiunto il lardo tagliato a fette con la salvia e vengono infine serviti accompagnati dalla polenta nell’intingolo che hanno formato durante la cottura. Inutile dire quanto goloso e gustoso sia questo piatto. C’è però  una versione dolce diffusa soprattutto a Bergamo che se esteriormente ricorda vagamente la controparte salata di fatto è completamente diversa. La polenta viene ricreata con delle creme a base di cioccolato al burro e di nocciola e in fine col pan di Spagna. Gli uccelletti invece vengono adagiati sopra la forma della polenta e sono costituiti da marzapane ricoperto di cioccolato. Anche in questo caso siamo di fronte ad una vera e propria delizia, non mi pronuncio su quale delle due sia la versione migliore, direi che dipende dalla voglia del momento, se di dolce o di salato. Quello che dico con certezza è che  non ne rimarrete delusi, e almeno una volta nella vita dovrete provarle entrambe… Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

CARICA DOLCISSIMA

Oggi parliamo di una vera e propria leccornia tutta italiana nata in Piemonte di cui le origini sono antichissime, è lo zabaione. Si tratta di una crema dolce dalla consistenza spumosa fatta di sole uova in particolare il tuorlo con l’aggiunta di zucchero e vino liquoroso. Una delizia calorica che dà il massimo quando accompagnata da biscotti come le lingue di gatto o le paste di meliga, ottimo anche nel caffè. Di un colore giallo vivo è in  grado da solo o come farcitura di dolci di provocare una vera e propria detonazione di puro gusto nella vostra bocca. In questo periodo sicuramente in molti lo avranno versato sul panettone o pandoro o ci avranno intinto le varie paste dolci tipiche di queste feste. La sua forza risiede nella semplicità e velocità con le quali chiunque di voi potrà realizzarlo e gustarlo magari in un bel pomeriggio nebbioso davanti al camino.  Pochi minuti per farlo, un istante per berlo e non basterà una vita per dimenticarlo…  Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

DOLCE O SALATO

Oggi vi parlerò di un altro dolce tipico delle festività natalizie ma che non è raro vedere anche durante tutto l’anno grazie alla suo doppio carattere che si divide tra dolce e salato.  Entrate di diritto a far parte dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani le Pettole pugliesi sono delle pallottole di pasta lievitata a base di farina, acqua e lievito immerse nell’olio bollente originarie della Puglia ma diffuse anche in Basilicata, in Calabria e nelle colonie albanesi della Sicilia. Facilissime da preparare in base alle varianti tipiche delle regioni possono essere salate con l’aggiunta di olive, baccalà, pomodoro, fiori di zucca e altri ingredienti ancora a vostra discrezione. Durante il periodo natalizio invece non è raro trovarle nella loro variante dolce grazie all’aggiunta di zucchero o miele. Inutile dirvi quanto possano essere sfiziose con la loro morbidezza che una volta in bocca rilascia prepotentemente il loro goloso ripieno. Perfette come antipasto per inaugurare i vari cenoni o pranzi ma altrettanto indicate nella fase finale quando con la pancia piena costituiscono un ‘alternativa più leggera grazie alle dimensioni contenute rispetto ai soliti dolci del periodo molto più pesanti. Un’ ottima consolazione quando nella fase finale delle feste ci si ritrova ad addentarle con la nostalgica consapevolezza di stare uscendo da questo periodo magico con il pensiero rivolto al nuovo anno appena arrivato carico di buoni propositi ma anche di impegni, sapendo che  ci potranno però accompagnare a differenza di altri dolci anche durante tutto l’anno. Brevi momenti in cui a seconda della voglia del momento potranno darci un dolce o salato conforto.  Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

ULTIMA TROVATA

Per inaugurare il nuovo anno, viste le ricche e caloriche tavolate delle festività, abbiamo pensato alla cugina più giovane e leggera della pizza. Molto simile nell’aspetto  la pinsa romana si differenzia  per la sua forma allungata ovale o rettangolare, per la diversa idratazione dell’impasto meno ricco di carboidrati e grassi che la rende molto più digeribile e per i suoi ingredienti, frumento, soia riso e pasta madre. Una cosa però le accomuna. Il gusto e la bontà che nel giro di pochi decenni hanno contribuito a renderla famosa in tutto il mondo. Si contano ormai in tutto il globo più di 5000 pinserie ed il loro numero è destinato a crescere. Per molti anni si pensava che  la pinsa come la pizza avesse  antiche origini risalenti all’antica Roma  e solo ultimamente il tecnico pizzaiolo Corrado Di Marco nonché inventore della stessa ha ammesso di avere inventato il tutto per focalizzare l’attenzione sul suo nuovo prodotto che in realtà risale solo al 1981. Che dire un’abile mossa di marketing e di comunicazione che ha sortito indubbiamente l’effetto desiderato. Del resto noi italiani oltre che cucinare siamo bravi anche a fare questo… Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

CLASSICO NATALIZIO

Lo conosciamo tutti.  In questo periodo probabilmente ne avrete già mangiati un sacco. Può avere un carattere duro o al contrario morbidissimo. Il suo nome deriva dal verbo latino torrere che sta ad indicare la tostatura della frutta secca che lo costituisce. Il suo cuore è composto da miele, mandorle, zucchero e albume d’uovo. Vengono poi aggiunti in base ai gusti e alle versioni nocciole tostate , pistacchi e arachidi. Non è raro vederlo ricoperto da due strati d’ostia.  Sarà l’euforia glicemica da zuccheri, sarà l’atmosfera e il contesto in cui viene consumato ma il solo vederlo evoca nelle persone ricordi e sensazioni felici e rilassanti. Davanti a un camino o con le luci dell’albero di natale che fanno da sfondo, il resto lo fa il suo sapore.  Non so voi, ma per me le feste iniziano nel momento in cui  viene  esposto nelle bancarelle o nei mercatini  di Natale, e il primo a festeggiare credetemi, sarà il nostro palato… buone feste a tutti.  Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

LA CONVIVIALITA’

Siamo in pieno inverno dinanzi al calore rassicurante del camino acceso. Il suo scoppiettio rilassante viene sormontato dalle risate e dal vociare allegro dei nostri commensali. Finalmente sono pronte ed ognuno si ritrova per le mani un dischetto fumante che provvederà a tagliare a metà ed a farcire con un trito di carne di maiale, rosmarino ed aglio, oppure con coniglio in umido, lepre alla cacciatora o carne di cinghiale a seconda dei gusti personali. Questo era quello che succedeva nel modenese quando venivano preparate le crescentine o tigelle. Una sorta di pane  a forma di disco con inciso il più delle volte delle forme geometriche la più comune era il cosiddetto fiore della vita, simbolo di prosperità e fecondità. Entrate nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani costituite da farina, acqua, sale, lievito di birra o bicarbonato oggi oltre che nelle trattorie è facile trovarle anche nei fast food o nelle sagre in cui viene presentato il cibo di strada. Con il  tempo oltre ai ripieni menzionati poco fa sono stati introdotti altri tipi di farciture che spaziano tra salumi, formaggi, verdure e altre salse dolci o salate, l’unico limite è dettato dalla fantasia e dai gusti di chi le sta preparando. L’unica cosa rimasta inalterata nel tempo è lo scopo per il quale sono state create, la convivialità. Che sia davanti ad un camino, al tavolo di una trattoria o in piedi per strada non c’è nulla di più bello che essere in compagnia dei propri amici mangiando, ridendo e scherzando. Scontato? Assolutamente… ma sfido chiunque a non avere l’umore alle stelle quando colto dalla fame starà per addentare un panino contenente le sfiziosità di cui è ghiotto. Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

AUTUNNO NEL PIATTO

L’autunno con i suoi colori è indubbiamente una delle stagioni più affascinanti ed anche a tavola con i prodotti tipici di questo periodo regala molte soddisfazioni. Oggi parlerò del risotto alla zucca. Originario del nord si è presto diffuso in tutto il paese con le sue numerose varianti. La sua peculiarità è data dalla consistenza cremosa che assume in fase di cottura grazie al mantenimento dell’amido che diventando gelatinoso lega i vari chicchi tra di loro. Una pietanza che trasuda tradizione la cui ricetta si è tramandata da generazioni in generazioni. Il segreto è la cottura lenta, paziente, con la tostatura minuziosa del riso  e l’aggiunta di un mestolo di brodo alla volta. Una ricetta nata nelle campagne contadine che nel corso degli anni è divenuta sempre più raffinata, ripresa via via dagli chef più rinomati pur però mantenendo intatti i passaggi tradizionali fondamentali proprio come facevano le nonne di una volta. Oltre alla zucca possono essere aggiunti anche  salsiccia, gorgonzola e speck.  Una volta impiattato con il suo profumo e i suoi colori evocativi non avrete un semplice piatto autunnale, ma l’autunno vero e proprio in un piatto…  Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani

TRADIZIONI

In una delle tante trattorie del Lazio una vecchia radio suona musica tutta italiana di qualche anno fa. Una bella tovaglia tutta a quadri, una brocca di vino della casa, sulle pareti sono appesi alcuni utensili che si usavano  nei campi tanto tempo fa. Per tutta la piccola sala si sente Il  gradevole profumo della campagna circostante. Sul menù sono presenti i punti di forza della tradizione laziale e noi ci soffermeremo su uno di loro. Siamo qui per questo. I tonnarelli cacio e pepe fanno del loro punto di forza la semplicità. Pochi sono gli ingredienti che li compongono. Pepe nero ben tostato e schiacciato sul momento e Pecorino romano. La pasta andrà cotta e mantecata lentamente proprio per fare in modo che assorba tutto il sapore di quest’ultimo. L’aspetto finale sarà cremoso e il profumo qualcosa di sublime. Il sapore è forte e deciso, la tradizione laziale va dritta al sodo senza molti fronzoli e ci riesce perfettamente. Un piatto che lascia sempre soddisfatti, una delle tante certezze che costituiscono la cucina made in italy. Col tempo ovviamente sono sorte numerose varianti. Numerosi chef hanno per così dire svecchiato la ricetta originale aggiungendo qualche ingrediente che lega perfettamente come i ricci di mare mantenendo sempre il massimo rispetto nei confronti della preparazione base. Anni e anni fa i primi ristoratori che proponevano questo piatto erano soliti esagerare con il formaggio e il sale per far venire più sete al cliente e vendere più vino, ma oggi non ce n’è più bisogno. Il vino scorre lo stesso a fiumi, ma solo per fare da cornice ad un perfetta cena, in cui il piatto è solo la metà della buona riuscita della serata il resto lo fanno il contesto, l’atmosfera e noi italiani maestri nel ricrearli…  Questo ed altro su Instagram @juri_spankhmayer_bassani